We're the indiependent rock-music scene!!!

mercoledì, settembre 28, 2005

Mogwai - "Happy Song for Happy People"



2003 – PIAS
I Mogwai sono un gran gruppo. Un gruppo che si meriterebbe molto più di quello che riceve ora. Happy songs for Happy People è l’ultima fatica inedita di questi cinque scatenati ragazzacci che roccheggiano Glasgow. Il titolo è, per chi non conoscesse l’album o il sound della band, ironico. Molto ironico. In effetti i Mogwai si meritano un degno posto fra le band più tristi del pianeta, e non è un insulto, davvero. Hanno la capacità di inventare arpeggi mai scontati, magici e dannatamente struggenti, e riunirli in perle (quasi) sempre di indubbia efficacia. Partendo dalla prima del disco, Hunted by a Freak (andatevi a guardare il video sul loro sito, è di una crudeltà inaudita..), di sicuro una delle migliori del disco, iniziano subito a cullarci con delicati sussurri di vocoder e tastiere atmosferiche, scandite da una batteria mai banale. Segue Moses I Amn’t, pezzo particolare, molti synth, violoncello e rumore bianco, niente chitarre, niente batteria. Con Kids Will Be Skeletons si ritorna alla forma-Mogwai dei tempi di Ten Rapids: armonici, molti archi, e molta molta malinconia, anche se si vede uno spiraglio di luce negli incastri di chitarra, nel giro di organo e nel crescendo discreto, che come da tradizione non esplode mai, ma ritorna al suo posto tranquillo, per lasciarsi scavalcare da Killing All the Flies, altro pezzo capitale del disco. Dopo un classico crescendo di vocoder ed un improvviso cambio di tempo, esplodono dal nulla basso e chitarra distorti, con tanto di frandata (per la cronaca, frandata è un termine inventato da tali marlene Kuntz per identificare quella tecnica chitarristica assai diffusa in certo rocchenroll moderno, che consiste nel massacrare le corde a velocità supersoniche, al fine di produrre abbondanti quantità di rumore. tenete bene a mente il termine, è un dei fondamenti della cultura moderna. ndN) che ci accarezza le orecchie da una cassa all’altra, ma anche qui ritorna tutto subito quieto, interrompendo a metà il processo di catarsi che stava nascendo nei nostri cuori. Bisogna attendere Ratts of the Capital per sentire la potenza selvaggia del gruppo che, non a caso, è stato definito il più rumoroso della terra, arrivando in ultima istanza a produrre persino un riff (!). Insomma, un disco compatto, pieno di emozione, con una produzione che riesce a sopperire anche alle mancanze degli altri dischi del combo scozzese (ammettiamolo, non hanno mai brillato per la produzione della batteria…), con alcune geniali trovate, come la batteria distorta nel finale di Stop Coming to My House. Quando è uscito molta gente ha esclamato, scandalizzata “I Mogwai si sono rammolliti…”. Ma quale rammolliti, qui siamo di fronte alla stessa ecletticità nella composizione, allo stesso interesse per la ricerca di nuovi intrecci sonori e di nuove rese emotive.

Nicola


Tracklist:
01. Hunted by a Freak

02. Moses I Amn’t

03. Kids Will Be Skeletons

04. Killing All the Flies

05. Boring Machines Disturb Sleep

06. Ratts of the Capital

07. Golden Porsche

08. I Know You Are but What Am I
09. Stop Coming to my House

Formazione:

Stuat Braithwaite: chitarra, voce

Dominic Aitchison: basso

Martin Bulloch: batteria

John Cummings: chitarra, piano, programming

Barry Burns: chitarra, piano, programming

Nick Cave and The Bad Seeds - "Henry's Dream"


1992 - Elektra
Nel caso di questo disco eviterò premesse, presentazioni e parte della telecronaca...perchè chi non sa chi è Nick Cave e non ha presente nemmeno una sua canzone, per quanto mi riguarda, non è degno di stare su sto blog!!!...forse non è nemmeno degno di chiaccherare di musica...
Ho scelto di parlare di questo album del "dandy australiano"(quello tedesco è Blixa Bargeld) perchè è stato il suo primo che ho ascoltato in vita mia. Si sa...:"la prima volta non si scorda mai"! Avevo sempre desiderato conoscere questo signore più da vicino, fino a che un amico non me ne ha passato una copia. E' stata una folgorazione. "Henry's Dream" non sarà il miglior lavoro di mr.Cave, certamente...ma per me ha un valore esclusivo. Già dalle prime note di "Papa Wont Leave You, Henry" capii che c'era qualcosa in quest'uomo che non c'era in nessun altro cantautore che avevo ascoltato prima di allora. Scarno ma potente. Ritmato. Il primo pezzo del disco è qualcosa di celebrativo con tanto di coro gospel machile. Ritmo che poi rivive anche in "Brother, My Cup Is Empty". Chitarre acustiche a tracciare la melodia e arrangiamenti scarni per questo disco. I testi sono come sempre spettacolari, profondi ed espressivi a tal punto che non riuscirei ad immaginarli cantati da nessun altro sennon da quella cadenza grossa e leggermente "fuori tono" che ha la voce di Cave. Delicata poi "Straigh To You". Questo disco è completezza. Senza boria. Senza virtuosismo alcuno. A Cave non serve dimostrare niente a nessuno. "Loom Of The Land" è una canzone d'amore intensa e spettacolare. L'emotività di questo brano è totalmente giocata da voce e pianoforte, nonostante la presenza degli altri strumenti. Poi...la chiusura....quel brano...."Jack The Ripper"....potenza assoluta. L'atmosfera incendiata dalla chitarra: secca, ritmata, compatta. Cave che va via via urlando sempre di più fino a sgolarsi e a biascicare le ultime parole. I cori sono adoperati in maniera sublime. Tensione e furore, in questo pezzo, sono al centro della scena. Il modo migliore per concludere un disco "cinematografico" come "Henry's Dream". Un vero e proprio sogno, dal quale estrapolare personaggi eccezionali, sapientemente descritti e caratterizzati dalla scrittura elegante e viscerale di Cave.

Christian

Tracklist:
1 Papa wont leave you, Henry
2 I had a dream Joe
3 Straight to you
4 Brother, my cup is empty
5 Christina the astonishing
6 When i first come to town
7 John Finn's wife
8 Loom of the land
9 Jack the ripper

Do Make Say Think - "& Yet & Yet"


2002 - Constellation
"Do", "Make", "Say", "Think": sono i primi quattro verbi che ti insegnano alle elementari in Canada, in quanto sono i quattro verbi fondamentali dell'inglese. E' un mistero come, invece, in Canada, ci sia un propensione così stupefacente per certa musica, soprattutto espressa così finemente. Parte della stessa etichetta dei Godspeed You! Black Emperor, dei Silver Mt. Zion e di tanti altri, i Do Make Say Think sono miracolosamente in grado di catturare l'ascoltatore, trasportandolo all'interno di un vortice psichedelico senza fondo. Il quintetto suona un rock strumentale a metà fra un jazzista sotto acido e un compositore narcolettico. "& Yet & Yet" parte piano. Pacato. Con una chitarra arpeggiata su di un sottofondo di ride/grancassa e samples. Sempre pian piano arrivano oboe e tutto il resto. Il pezzo non esplode; carica, carica ma non esplode mai in distorsioni e piatti suonati sul bordo; resta invece soffocato...agonizzante. Questo era "Classic Noodlanding" e prima ad arrivare all'aereosissima "Anything For Now" dovremo passare attraverso i territori delicatamente lounge ed emotivamente distorti di altri cinque brani, secondo dei quali è proprio "End Of Music", che si snoda su un giro di basso e batteria sui quali entrano ed escono sintetizzatori di ogni tipo, fino al punto in cui si distorce, ma con molto garbo e parsimonia.La terza del disco, "White Light Of" si spalma su territori più orchestrali, nel senso jazz del termine.Poteva poi mancare, secondo voi, il brano "paranoia da astinenza per qualcosa"? Ovvio che no, che domande! Ed eccoci accontentati dalla delicatissima e riverberosa "Chinatown", che riporta la mente ad immagini di vita comune, suggerite dai suoni urbani catturati in sottofondo. Un pezzo dolcissimo. Meno dolce è "Reitschule" diciamo. Parte tranquillo. Chitarrine belle, giro di batteria bello giocato fra ride e rimshot...fino a quando non si cominciano a sporcare gli arpeggi e si prende a toccare la pelle del rullante, prima sporadicamente e poi dando vita ad un brevissimo crescendo che si riassorbe in un limbo, dove basso e batteria si rincorrono l'un l'altro. Ancora un crescendo...ma si riassorbe di nuovo. Due coiti interroti in una canzone sola, sti canadesi sono pazzi! Ma ecco che arriva la sberla...alla fine, come al solito. Distorsioni su distorsioni, piatti su piatti...che si placano e poi riprendono fino alla botta finale che ricalma pian piano le acque."Soul On Onward" sà proprio di club e sigarette, con tanto di vocalizzi femminili e piano forte. "Anything For Now" è una ninna nanna splendidamente concepita per lasciare l'amaro in bocca e il groppo alla gola di chi arriva fino alla fine del cd e ormai ne vorrebbe ancora.Non c'è niente da fare, questo disco è un esempio di come la musica fatta con animo e inventiva(senza badare troppo al fatto che debba essere così o colà) sappia far vivere emozioni impossibili da riprodurre diversamente.

Christian


Tracklist:
1 Classic Noodlanding
2 End Of Music
3 White Light Of
4 Chinatown
5 Reitschule
6 Soul And Onward
7 Anything For Now

Charles Spearin: basso e tromba
Justin Small: chitarra
James Payment: batteria
Ohad Benchetrit: chitarra, fiati e tastiere
Jason MacKenzie: batteria e tastiere

dEUS - "Pocket Revolution"



2005 – (V2)
Cinque anni sono passati. Cinque anni dall’ultimo lavoro dei Belgi in questione. La domanda che mi sono fatto quando ho saputo dell’uscita di questo disco è stata “ne sarà valsa la pena?”, poi sono d’immediato andato a leggere qualche recensione, tanto per farmi un’idea… Risultato: una media di tre stellette su cinque. In pratica, sembrava non ne fosse valsa la pena, almeno non per un gruppo come i dEUS, che in dieci anni di carriera e quattro dischi ci hanno abituati a capolavori come “Worst Case Scenario” e “The Ideal Crash”. Ciononostante ero emozionato quando ho iniziato ad ascoltare questo Pocket Revolution”. E dopo la prima canzone ho capito che fondamentalmente i recensori erano stati ingiusti. Il disco si apre con Bad Timing, l’apertura assomiglia maledettamente a quella di Suggestionabili di Paolo Benvegnù, anche se dubito che il sig. Barman abbia mai ascoltato il nostro cantautore. La canzone è un meraviglioso crescendo, dove gli strumenti si aggiungono a strati, come una torta sacher ricoperta di cioccolato fondente al 90%, tanto è amara la melodia di fondo…
Ma calma, teniamo a freno i sentimenti: Pocket Revolution è un disco di belle canzoni, su cui spiccano alcune perle come la già citata Bad Timing, Sun Ra, un altro meraviglioso esemplare di crescendo come se ne fanno pochi, e la sublime Nothing Really Ends, una bossanova finemente prodotta, arricchita da un accompagnamento di voci femminili da brivido. Un disco di belle canzoni, dicevamo. Quello che può deludere è che sono belle canzoni che non aggiungono nulla di nuovo. In sostanza, Pocket Revolution è un The Ideal Crash parte II, l’evoluzione è latente, e nei punti dove si fa evidente risulta forse un po’ banale, come nel caso di What We Talk About, in sostanza un pezzo disco con tanto di voce grossa alla Barry White. E con questo sembrerei dare ragione alle recensioni che prima esecravo. Ma, c’è un ma… Nonostante tutto quello che si possa dire di male di questo disco, io sfido chiunque a rimanere impassibile di fronte a queste due dozzine di canzoni. Che sia un proseguimento di the Ideal Crash o no, che i dEUS abbiano perso un po’ di vena jazz e acquistato molta vena pop (che non fa male di certo..), Pocket Revolution è un BEL disco. E affanculo le recensioni.

Nicola

Tracklist:
01. Bad Timing
02. 7 Days, 7 Weeks
03. Start Stop Nature
04. If You Don’t Get What You Want
05. What We Talk About
06. Include Me Out
07. Pocket Revolution
08. Night Shopping
09. Cold Sun of Circumstance
10. The Real Sugar
11. Sun Ra
12. Nothing Really Ends

Formazione attuale:
Tom Barman: chitarra, voce
Klaas Janzoons: violino, tastiere, percussioni
Stéphane Misseghers: batteria, percussioni, cori
Mauro Pawlowski: chitarra, cori
Alan Gevaert: basso

Neurosis - "The Eye of Every Storm"




2004 - (Neurot Records)
The Eye of Every Storm è esattamente quello che annuncia il titolo: immaginatevi di essere all’interno di uno dei fenomeni più maestosi, terrificanti e potenti che la natura possa generare, e da lì osservare quello che vi succede attorno. Ecco come ci si sente, a piazzare nel lettore l’ultimo lavoro dei Neurosis, storica band di Boston, in attività da ben vent’anni. Per chi di voi ha già familiarità con questo combo, non sarà difficile notare che sono giunti alla metabolizzazione di tutti i generi che gli potrebbero essere affibbiati: post-rock, hardcore, metal, post-hardcore, indie, blues… Partendo dalle pulsazioni minacciose di Burn, che serpeggiano in un crescendo che sfocia in ambienti tanto cari ai Tool di Adam Jones, proseguendo sui toni più post- e blues di No River to Take Me Home e The Eye of Every Storm, fino all’essenza del disco, composta dalla triade A Season in the Sky, Bridges e I Can See You. Qui si mescolano progressioni Floydiane e surrealismo visionario, sprazzi elettronici e rumoristici (Dio benedica Steve Albini), e per finire, una meravigliosa composizione acustica sulle tracce dei lavori solisti del cantante/chitarrista Von Till. Certo, TEOES non è un disco facile, come d’altronde non lo fu A Sun that Never Sets, altro capolavoro della band, ma sono indubbiamente lavori che trascendono i normali canoni di valutazione. Già, qui non si tratta di valutare la bravura o meno di una band (non si arriva a vent’anni di vita avendo fatto cazzate), si tratta più di relazionarsi ai loro lavori come si farebbe con un quadro, od un film, lasciandosi suggestionare dalle immagini che Kelly e compagni ci portano alla mente, assaporando i toni cupi e rarefatti degli intermezzi di Bridges, e le esplosioni che li circondano (che onestamente penso siano gli attacchi di chitarra più pesanti che esistano), così come le magistrali stratificazioni di distorsione, l’immensa varietà sonora delle chitarre…tutto in questo disco è incantevole. Proprio come una tempesta. Concludendo, The Eye of Every Storm è un capolavoro per palati fini. Un capolavoro come oggi ne esistono pochi, un’opera che si avvicina più al concetto di “esperienza sonora” da vivere in ogni suo momento.

Nicola

Tracklist:

01. Burn
02. No River to Take Me Home
03. The Eye of Every Storm
04. Left to Wander
05. Shelter
06. A Season in the Sky
07. Bridges
08. I Can See You

Formazione:
Steve von Till: chitarra, voce, percussioni
Scott Kelly: basso, voce
Dave Edwardson: basso, voce
Jason Roeder: batteria
Noah Landis: tastiere, campionamenti, nastri
Pete Inc.: visuals

lunedì, settembre 26, 2005

Lo-Fi Sucks! - "Temporary Bun-out"


2001 - (Suiteside/White & Black)
La prima volta che ho sentito parlare dei Lo-Fi Sucks!, fu qualche minuto prima di vederli al CRC di Abano Terme. Li per li, il nome, mi piacque molto e decisi che sarei rimasto bene attento a cosa sarebbe accaduto sul palco. Un concerto spettacolare, intenso e molto raffinato nel gusto. Dopo quella data non vidi mai più il gruppo Genovese, ma rimasi in contatto con loro via mail. Quando finalmente riuscii ad avere fra le mani il loro ultimo disco, "Temporary Burn-Out", ne fui letteralmente sconvolto. La dimensione del disco ti fa apprezzare più in profondità le particolarità e le sfumature che caratterizzano il suono di un gruppo(specialmente quando c'è Fabio Magistrali dietro il mixer), ma non penso sia necessario che ve lo dica io. Prendo il lettore cd e sparo il volume al massimo per gustare ogni singolo suono.Il disco si apre con "Diasappeared 2" un pezzo molto vellutato, introdotto da registrazioni d'ambiente. Il disco centra in pieno, finda subito, una delle regole per il quale un disco è figo(oltre ad essere indie e ad essere stampato in digipack): c'è un ottimo motivo di piano Rhodes. Dura poco, giusto il tempo di far ambientare l'ascoltarore. Il secondo brano in scaletta è "67-73" con la partecipazione di Elena Diana dei Perturbazione che aggiunge quel tocco morbido ad un brano già di persò molto leggero."All Beautiful Angels" ha un attacco melodico e ritmato che è impossibile non trovarsi a canticchiare più di qualche volta. La voce di Doc è calda e molto sensuale. Aperture di arpeggi qua e la, rendono questo brano il singolo perfetto. La quarta del disco è proprio una delle mie preferite: "But I Feel Fine Thank You". Il basso metallico di Monsieur Buzzi è fantastico!!! Loop di batteria ipnotico e synth a dare dinamica mentre la voce si stende frammentaria sul tappeto sonoro. "Disappeared" culla l'ascoltatore fino a "(...pool?)", frammento di suoni breve che introduce la potentissima "Drop-Out Bus", uno dei pezzi più rock del disco. Chitarra e basso si rincorrono continuamente alternando stalli areosi a picchiate distorte vere e proprie, fino a salire in un vortice che si sprigiona in rumore. Viene poi "He Played Steve Shelley's Kit". Il titolo deriva dal fatto che ad un concerto dei Sonic Youth, per caso, il batterista per il tour dei Lo-Fi si ritrovò a suonare la batteria di Steve Shelley [!!!].La vena pop serpeggia molto elegantemente in "Me And Nick Drake", ricordandoci che pop non vuol dire necessariamente "vendersi". Il decimo brano è "Little Wonder's Lost", pezzo rockissimo con uno di quei ponti strumentali che più fighi non si può. Distorsioni amare e suoni di synth che fanno girare la testa. "No Place Like Home" mi rimette in bocca la parola "pop" e anche quella "psichedelia". Ottimo pezzo per prepararci alla chiusura del disco, affidata a "Declaration Of IndiEpendence pt.2". Qui la band fa capire quanto siano avanti rispetto allo standard italiano di sperimentazione, sospesa tra strumenti elettrici e musica elettronica. I synth di MadtP catturano l'orecchio trascinandolo in alto e in basso a seconda di come apre e chiude i filtri di risonanza. Basso fuzz potentissimo; drum-machine e quella frase, ripetuta all'ossessione...come un inno...."We're the indiEpendent rock music scene!".
I Lo-Fi Sucks! sono uno di quei gruppi che ti fanno domandare a te stesso "ma perchè in italia il mercato discografico fa così cagare da non riuscire a valorizzare minimamente gruppi come questo?!".Trovo anche giusto aggiungere che il gruppo purtroppo si è sciolto alla fine del 2003. Il disco è un po vecchiotto se vogliamo ma ci tenevo moltissimo a parlarne. Grazie mille a Doc&Co. per quello che hanno saputo donarmi con questo splendido album!!!

Christian

Tracklist:
1 Disappeared 2
2 67-73
3 All beautiful angels
4 But i feel fine thank you
5 Disappeared
6 (...pool?)
7 Drop-out bus
8 He played Steve Shelley's kit
9 Me and Nick Drake
10 Little wonder's lost
11 No place like home
12 Declaration of indiEpendence pt.2

Doc: voce, chitarre, piano elettrico, samples, tastiere, synth
Buzzi: basso, samples, synth
MadtP: synth, samples, xylophone

Godspeed You! Black Emperor - "F#A# infinity"


1998 - Cranky
Parlare dei Godspeed è una cosa assai complessa. Qui ci si lascia alle spalle il concetto di musica, gruppo, canzone, rock; anche il concetto stesso di "tempo" si dimentica, perchè una volta che ci si lascia andare al vortice di questi pazzi canadesi, è finita!F#A#infinity è il primo disco della band sotto un etichetta discografica. Piccola(e indipendente ovviamente), ma grande abbastanza da riuscire a portare la loro musica fuori dai confini nazionali.
Quando la CRANKY, nel 1998, decise di dar loro l'opportunità di registrare un prodotto curato, la band contava ancora 20 elementi, che dopo la pubblicazione sono andati via via riducendosi all'attuale formazione a 9. Musica per intenditori. Quasi sacra direi. Un progetto artistico senza precedenti. Il gruppo, propone attraverso le intricate(e lunghissime) strutture dei brani (3 per un totale di 63 minuti di musica!!!!) qualcosa di paragonabile solo a se stessa. E' quasi del tutto impossibile descrivere la loro musica a chi non li ha mai sentiti. Subito viene in mente di partire parlando della musica classica ma il più delle volte è un po pericoloso sbilanciarsi in questo senso, quando si parla comunque di rock(per lo meno, l'attitudine lo è)."The Dead Flag Blues" è il titolo del primo brano del disco. Tappeto sonoro. Una voce grossa recita un testo, con fare solenne. Pian piano le chitarre e gli archi cominciano ad emergere per poi restare soli al centro della scena. Riverberi di ogni tipo. La macchina Godspeed comincia a muoversi. La prima cosa che appare subito chiara è la tristezza dolce-amara di cui sono cariche le chitarre ed i violini. Dopo un inframezzo in cui si sente il suono di una locomotiva, la canzone comincia a ricomporsi disordinatamente.Il secondo brano, non chè quello a mio parere più impressionante di tutto il disco, è "East Hastings". Mai sentito un crescendo così potente in vita mia. Le capacità evocative che hanno i Godspeed, fanno restare letteralmente senza fiato. Ci si trova,da un momento all'altro, catapultati dalla quiete di arpeggi ricchi di riverberi e delay, dentro marce con incalzanti violini e violoncelli che scandiscono il tempo fino all'entrata in gioco di tutti gli elementi della band. Il brano è un vero e proprio pistone che spinge incessantemente nel cervello dell'ascoltatore, fino a paralizzarlo in ascolto...in attesa che questa situazione si spezzi. Quando arriva l'esplosione finale è come una liberazione, perchè se fosse durato solo un secondo in più saresti esploso anche tu con tutto quello che ti circonda. Poi il brano si ritrare in rumore e samples effettati fino al terzo brano: "Providence". Questo più di tutti è il brano che fa capire in quanti tempi, i Godspeed, suddividano i brani(come nella musica classica). Alla fine il pezzo risulta essere un collage di emozioni, come una pagina di un diario segreto, sulla quale sono incollate diverse foto; ogniuna delle quali è un'emozione fortissima...a volte anche dolorosa.Questo primo album del gruppo preannuncia già quello che sarebbe diventato in seguito questo "collettivo" di canadesi, perdutamente dediti al rock indiependente e contro le major e i gruppi che ne fanno parte.La loro è più che altro una battaglia personale per la liberazione della musica.Consiglio vivamente questo disco a chiunque cerchi delle emozioni forti dalla musica e che abbia soprattutto una grande pazienza e dedizione nell'ascolto. HOPE!

Christian

Tracklist:
1 The dead flag blues
2 East Hastings
3 Providence

Lineup dell'epoca: Aidan, Bruce, Thea, Dave, Moya, Mauro, Thierry, Norsola, Efrim, Christophe, Steph, Sylvain, Colin, Jesse, Dan O., D., Shnaeberg, Peter, Grayson and Amanda